J.Gritti u.a. (Hrsg.): Palazzo Belgioioso d’Este

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Titel
Palazzo Belgioioso d’Este. Alberico XII e le Arti a Milano fra Sette e Ottocento


Herausgeber
Gritti, Jessica; Squizzato, Alessandra
Erschienen
Verona 2017: Scripta edizioni
Anzahl Seiten
223 S.
von
Marino Viganò

Chi comparasse la planimetria della Milano moderna, dopo la fabbrica della cerchia dei baluardi spagnoli nell’età di Carlo V e di Filippo II d’Absburgo nel 1548-’60, a quella della città sino al 1885, non potrebbe non notare, con sorpresa se digiuno di storia dell’urbanistica, la perfetta identità d’estensione dell’abitato e della maglia urbana. Il centro, fra i più popolosi della penisola dopo Napoli e prima di Venezia, Palermo e Roma, reputato inoltre, non a torto, tra i più effervescenti dal profilo economico e culturale dal XVIII secolo, si direbbe in effetti congelato alle dimensioni e alla conformazione di trecent’anni innanzi. D’altra parte, soltanto dopo l’annessione al Piemonte nel 1859, l’inclusione nel regno d’Italia nel 1861, lo sviluppo degli anni ‘70-’80, la città, ora «capitale morale» del paese – per richiamar la fortunata espressione di Ruggero Bonghi (1881) –, s’avvia a divenire metropoli. Sicché il piano regolatore dell’ingegner Cesare Beruto, steso nel 1884, approvato con rettifiche nel 1889, è senza dubbio il primo documento a tracciare tanto le linee d’espansione dell’area extra bastioni, quanto le direttrici dell’urbanizzazione del vasto patrimonio verde inedificato all’interno.

Eppure non si può affatto sostenere che Milano in precedenza resti inalterata, dal profilo edilizio, specie dalla seconda metà del XVIII secolo. Passata dal dominio degli Absburgo di Spagna a quello dei Borbone di Francia, ramo iberico, nel 1700, conquistata dagli Absburgo d’Austria nel 1706, la città contemporanea rimane anzitutto la sede del governatore di uno stato fra i maggiori d’Italia, benché sempre più ridotto da perdite di territori a ovest del Ticino: Alessandria, Valenza, Mortara, Serravalle Scrivia nel 1713, appena terminata nella penisola la Guerra di successione spagnola (1700-’14); Novara e Tortona alla conclusione della Guerra di successione polacca (1733-’38); Domodossola, Vigevano, Voghera alla fine della Guerra di successione austriaca (1740-’48), compensati a est dell’Adda dall’acquisto del Mantovano (1708). Soprattutto, dopo l’effimera occupazione da parte dei Savoia, nel 1733-’36, essa vede crescere, al rientro degli Absburgo, e non soltanto entro il quadrante italiano, il proprio rango di centro nevralgico della corona imperial-regia.

Lo svecchiamento di istituzioni locali, l’abolizione di cariche ereditate dall’età ispanica e l’adeguamento – pure linguistico, col passaggio dall’idioma castigliano a quello germanico – dell’amministrazione al clima del Secolo dei lumi, confluiscono difatti nel punto focale della nomina a governatore nel 1771 di Ferdinando Carlo d’Absburgo-Este (Vienna 1754 – Vienna 1806), quattordicesimo figlio dell’imperatore Francesco I Stefano di Lorena (Nancy 1708 - Innsbruck 1765) e dell’imperatrice-consorte Maria Teresa d’Absburgo (Vienna 1717 - Vienna 1780). Come di consueto, la formazione di una corte di rango si fa elemento propulsore per lo sviluppo della città ospite, che a Milano, immutata come detto l’estensione per l’enorme area di orti e giardini inclusa nelle mura spagnole, prende in particolare nel centro due aspetti: l’intensiva riattazione o la fabbrica ex novo di palazzi nobiliari, la riprofilatura o l’apertura anche ex novo – spesso in concomitanza con quegli interventi di livello non meramente puntuale, ma urbanistico – di stradoni, di slarghi e di piazzali.

All’opera in tale fase di crescita culturale oltre che edilizia sono vari architetti, tra i quali primeggiano almeno i quattro protagonisti dell’incipiente neoclassicismo: l’umbro Giuseppe Piermarini (Foligno 1734 – Foligno 1808), l’austriaco Leopold Pollack (Vienna 1751 - Milano 1806), i «ticinesi» Simone Cantoni (Muggio 1739 - Gorgonzola 1818) e Giocondo Albertolli (Bedano 1742 – Milano 839), singolarmente non milanesi, ma d’altra parte formatisi avanti l’apertura dell’Accademia di belle arti di Brera, nel 1776. In brevi anni a quest’agguerrita pattuglia, giunta a pieno fulgore in epoca napoleonica, operosa inoltre nell’intera Brianza, ma soprattutto al Piermarini, si devono, è noto, con altre, fabbriche di stato quali il Palazzo reale (1773-’78) e il teatro alla Scala (1776-’78); e dimore private, erette o «rinfrescate», quali i palazzi patriziali Belgioioso d’Este (1772-’81), Candiani (1773-’74), Cusani (1773-’79), Moriggia (1775-’79), Casnedi (1776-’77) e Greppi (1777-’78): costruzioni in parte notissime e studiate nei dettagli, in parte meno celebri, o soltanto poco indagate.

Proprio alla storia di uno di questi edifici, forse anzi al più notevole quanto a innovazione stilistica, il palazzo Belgioioso d’Este – affacciato sull’omonima piazza, allo sbocco di via Morone, traversa di via Manzoni, a quattro passi dalla Scala –, si è volta l’attenzione della Fondazione Brivio Sforza di Milano, costituita nel 2012 con il fine, come da Statuto, di «favorire la raccolta delle testimonianze, la conservazione, l’accrescimento, la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale ed artistico delle famiglie Brivio Sforza, Trivulzio e Barbiano di Belgiojoso d’Este». Dato incarico a studiosi e a ricercatori già sperimentati nei settori della storia dell’architettura, del décor d’interni, del collezionismo e aperti dopo decenni, a seguito del sistematico riordino, il proprio archivio e le proprie raccolte private, la Fondazione ha promosso, sostenuto e presentato il 25 novembre 2017, per cura di Stefano Della Torre, professore ordinario al Politecnico di Milano, e di Alessandro Morandotti, docente associato dell’Università di Torino, una monografia documentata, particolarmente fastosa nell’apparato iconografico, sulle vicende di quel cantiere milanese settecentesco.

Redatto dunque da Alessandra Squizzato, autrice già di un libro sulle collezioni del casato Trivulzio, un primo saggio introduce alla figura del committente del palazzo, il principe Alberico XII Barbiano di Belgioioso (Milano 1725 - Belgioioso 1813), tra i più solidi feudatari di Lombardia quanto a finanze, discendente da famiglia milanese d’antico lignaggio. Figlio di Antonio (Milano 1693 – Milano 1779) e di Barbara Elisabetta d’Adda (Milano 1707 - Milano 1769), anch’essi patrocinatori delle arti, sposo a Milano il 10 giugno 1757 alla principessa Anna Ricciarda d’Este (San Martino in Rio 1735 - Milano 1777), prefetto dell’Accademia di Brera sin dalla fondazione, e non per caso, date le inclinazioni collezionistiche; e tuttavia non immune dalla satira acidula del Giorno (1763), di Giuseppe Parini (Bosisio 1729 - Milano 1799), stando all’identificazione sedimentata del «Giovin Signore», né di più private punzecchiature in corrispondenze dei fratelli Alessandro (Milano 1741 - Roma 1816) e Pietro Verri (Milano 1728 - Milano 1797), per qualche tratto di vanità. Per il resto, l’Inventario generale dei beni stilato alla sua morte ne rinvia gl’interessi artistici e voluttuari, tra mobili, arredi, libri, stampe e dipinti, secondo il gusto e l’uso del patriziato del tempo, ossia del tipico «fasto di rappresentanza».

Le notazioni sull’orizzonte ideale di Alberico preludono a quelle sulle origini dell’edificio, indagate da Jessica Gritti grazie a ritrovamenti archivistici sulle preesistenze. Come in innumerevoli altri casi, non solo milanesi, pure qui non si costruisce infatti nel vuoto ma sopra un sedime: la dimora di Girolamo Cadamosto e Giulia Varesina, acquistata nel 1589 da Giovanni Battista Borromeo, destinata già allora, parrebbe, a rifacimenti a cura di Tolomeo Rinaldi, ingegnere attivo in cantieri militari, civili, religiosi, idraulici della Lombardia spagnola. Giunta ad Alberico X Barbiano di Belgioioso (Milano 1560? - Milano 1621) a seguito del matrimonio con Ippolita Borromeo (Milano 1565 - Milano 1602), il 14 settembre 1581, ne viene concretamente progettata una riforma, come testimoniano le proposte di Ercole Turati, altro ingegnere testimoniato su molteplici cantieri, datate da Gritti fra il 1596 e il 1604, con interventi effettivi post 1629. Opere murarie meno impegnative risalirebbero, stando ai documenti emersi, alla proprietà di Alberico XI Barbiano di Belgioioso (Sesto San Giovanni 1631 - Milano 1693), del 1659-’61, e ritocchi agli interni sono dovuti ad Antonio nel 1721-’30.

Delle fasi della «rifabbrica», e del programma edilizio di Alberico XII, si occupa a fondo il saggio di Francesco Repishti nel sondar le vicende di un cantiere paradossalmente meno documentato in planimetrie e memorie delle fasi cinque-seicentesche; e ciò a partire dalla commissione a un architetto, il Piermarini, impiegato già fra Milano e Mantova dal 1769, certo, ma non ancora assurto a fama, pur se allievo di una personalità di spicco internazionale nell’architettura, Luigi Vanvitelli (Napoli 1700 - Caserta 1773), olandese d’origine, ma incardinato dalla nascita nel Napoletano: non a caso, proprio l’indisponibilità di costui a lavorare al rifacimento di palazzo Belgioioso è citata a motivo dell’assegnazione del progetto all’allievo. Cronologicamente la sequenza dei lavori, tra accorpamento degli edifici preesistenti, i palazzi Borromeo e d’Adda, e redistribuzione di cortili e sale – queste allineate così da esibire un’enfilade ininterrotta –, viene ipotizzata dalla facciata (1772), alla biblioteca (1774-’77), allo scalone e alla cappella (1775-’77) e al salone (1782), per approdare alle ultime sale (1797). La minuziosa disamina di disegni e progetti del duo Piermarini-Pollack per la piazza antistante il palazzo, nella forma dichiarata di «cortile d’onore», realizzata nel 1788-’94, e per un edificio giustapposto – sorto alla fondazione del palazzo Besana, dal 1815 –, chiude un saggio anche graficamente onusto di documentazione.

I già menzionati «ticinesi» Giocondo Albertolli e Simone Cantoni, architetti e decoratori d’interni ben inseriti nei cantieri lombardi del tempo, spiccano quindi nello studio di Eugenia Bianchi sugli stucchi, le pitture, gli intagli delle due fasi decorative, ora meglio definite, del «nuovo» palazzo Belgioioso (1777-’80 e 1781-’85). Il primo trova largo spazio nel progetto e in parte nell’esecuzione delle decorazioni degli ambienti più spettacolari, quali la terza sala, la gran sala, la cappella (1775-’85); il secondo piuttosto in ambiti meno sfarzosi, di servizio, quale il gabinetto della cipria (1783-’84). Ricchissimo il programma iconologico, dagli episodi della storia famigliare, agli usuali temi mitologici, ai richiami letterari, in un disegno definito «coerente», curato nei dettagli, sino alle non poche iscrizioni che, dal timpano di facciata agli interni, illustrano il casato e gli ambienti nei quali alloggia. Un esito artistico senza dubbio degno di nota, benché per i «ticinesi» – siano architetti, stuccatori, artigiani della scagliola, pittori, scultori – si possa scrivere ormai d’epoca di declino sia nel primato, sia nelle fortune. Splendido ancora, certo, ma spedito, per la diffusione delle accademie «nazionali» di formazione, come appunto Brera, per i «sudditi della Superiorità elvetica» a sbiadire la tradizionale, secolare scuola «corporativa» dei maestri nelle varie specializzazioni; e pure per la loro assimilazione alla comunità genericamente «svizzera», emancipati i baliaggi dei XII Cantoni confederati nel 1798, poi costituito il Canton Ticino nel 1803.

Un ultimo saggio, a firma di Andrea Di Lorenzo, introduce infine alla quadreria del principe Alberico XII, col suo straordinario portato di maestri dai titoli altisonanti: Boltraffio, Bergognone, Pollaiolo, Luini e de’ Conti, solo per accennare i più famosi tra i rinascimentali. Sparpagliati oggi, dopo la dispersione per vendita nel 1814, fra San Pietroburgo, Parigi, Berlino e altre capitali. Destino comune ad altre collezioni di casati imparentati, non ultimo quello dei Trivulzio. È evidente, dunque, da questi pur rapidi cenni come questo libro superi di gran lunga i limiti dello studio di un’opera d’architettura, per quanto significativa nella storia dell’edilizia milanese del XVIII secolo, per includere i risvolti civili, sociali e politici non soltanto del casato Belgioioso, ma dell’élite della Lombardia sotto il primo dominio austriaco. E poiché non si può chiuder senza i consueti auspici, si deve auspicare che altri casati dell’antica nobiltà milanese, e anche dell’alta borghesia, mettano mano ad archivi e a collezioni private per imitare quest’esempio «esemplare» d’approfondimento, sotto la facies della storia di un edificio, delle figure eminenti della famiglia, del loro ruolo in senso ampio, e dell’eredità artistica collegata all’abitazione, per solito scrigno di raccolte sensazionali. Un esempio del genere, comunque, è in arrivo. Senza svelarne ora il dettaglio, si può però certificare riuscirà di considerevole interesse per tratteggiare la Milano culturale-collezionistica fra il primo Rinascimento e il pieno Barocco, epoca di conformazione di quell’area tanto smisuratamente estesa da accogliere quanto vi entrerà sin a molto dopo l’epoca di palazzo Belgioioso.

Zitierweise:
Viganò, Marino: Rezension zu: Palazzo Belgioioso d’Este. Alberico XII e le Arti a Milano tra Sette e Ottocento a cura di Gritti, Jessica e Squizzato, Alessandra Milano, Fondazione Brivio Sforza – Verona 2017. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2018, Vol. 163, pagine 154-157.

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Archivio Storico Ticinese, 2018, Vol. 163, pagine 154-157.

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